Cavie, simulacri e algoritmi: verso un uso consapevole dei social

30.09.2025


Siamo cavie. Non nel senso retorico del termine, ma nel senso più crudo e sistemico: osservati, testati, manipolati. I social non sono strumenti neutri, ma ambienti di sperimentazione comportamentale, laboratori invisibili dove l'identità si dissolve e si ricompone secondo logiche che raramente ci appartengono.


La cavia come figura sociale

Essere cavie significa essere immersi in un esperimento continuo. Ogni interazione, ogni scroll, ogni like è un dato, un segnale, una variabile da misurare. I social non ci osservano per conoscerci, ma per prevederci, anticiparci, indirizzarci. La nostra presenza digitale è il terreno su cui si testano modelli di consumo, reazioni emotive, polarizzazioni ideologiche.

La cavia non sceglie: reagisce. E in questo, il soggetto si trasforma in oggetto. Non più voce, ma comportamento. Non più pensiero, ma pattern.

Il profilo come simulacro

Come abbiamo discusso, il destino dei profili bloccati o rimossi rivela una dinamica inquietante: ciò che viene cancellato non sempre muore. Spesso rinasce sotto mentite spoglie, gestito da sviluppatori, agenzie o bot, svuotato di senso e riassemblato per scopi funzionali. Il profilo non è più persona, ma simulacro: una maschera algoritmica che ripete, amplifica, distorce.

Questa reincarnazione digitale è una forma di appropriazione identitaria. Il volto si dissolve in pixel, si ricompone in una nuova forma — più fredda, più utile, meno umana.

L'algoritmo come regista invisibile

Dietro ogni interazione c'è un algoritmo che decide cosa vediamo, cosa ignoriamo, cosa ci emoziona. L'algoritmo non ha etica, ma ha obiettivi: engagement, redemption, conversione. E per raggiungerli, modella la nostra esperienza secondo criteri che non ci vengono mai esplicitati. Il risultato è una realtà filtrata, una bolla cognitiva che ci illude di scegliere mentre ci guida silenziosamente. L'algoritmo non ci ascolta: ci dirige.

Verso un uso consapevole

L'unica forma di resistenza possibile è la consapevolezza. Non quella superficiale del "uso poco i social", ma quella profonda, critica, filosofica. Significa interrogarsi su ogni gesto digitale, su ogni parola condivisa, su ogni profilo seguito. Significa riconoscere che il nostro tempo, la nostra attenzione, la nostra identità sono monete di scambio in un mercato invisibile. Essere consapevoli significa: decostruire il simulacro, ossia riconoscere quando un profilo è falso, quando una narrazione è manipolata, quando un'emozione è indotta. Rivendicare il senso vuol dire usare i social non per reagire, ma per esprimere. Non per seguire, ma per creare. Proteggere il silenzio è scegliere quando non dire, quando non mostrare, quando non partecipare. Il silenzio è l'ultima forma di libertà.

Editorialmente parlando…

Siamo cavie, ma possiamo diventare alchimisti. Possiamo trasformare il laboratorio in officina, il simulacro in simbolo, l'algoritmo in alleato. Ma solo se smettiamo di reagire e iniziamo a pensare. L'uso consapevole dei social non è una questione di tempo, ma di senso. Non si tratta di disconnettersi, ma di risvegliarsi. Di riconoscere che ogni gesto digitale è un atto politico, etico, poetico. E che solo chi sa di essere osservato può scegliere come farsi vedere. Isla Media continuerà a esplorare queste tensioni, perché crediamo che la libertà non sia solo disconnessione, ma discernimento.

E che il profilo, se consapevole, può ancora essere voce.




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